di Giovanna Melandri per Huffington Post Italia
Ho letto con attenzione l’intervista di Alessandro De Angelis al Ministro Peppe Provenzano. E ho trovato molto interessante un tema: il rapporto tra il voto delle scorse ore e la fine dell’antipolitica. È davvero giunta l’ora di rottamare la stagione della critica frontale alla politica, rappresentata come casta inutile, parassitaria e persino dannosa? Davvero, come dice il Ministro ad Huffington Post, siamo fuori dal tunnel populista al punto che “dopo la pandemia, la politica torna a incidere e si è dotata degli strumenti per migliorare la vita delle persone”?
Io lo spero. E siamo in molti a pensare che una nuova fase, anche per l’alleanza di Governo, non sia più rinviabile. Una fase più lucida, pragmatica e visionaria insieme, utile ed efficace. Se davvero sono queste le fondamenta su cui insediare non solo un nuovo patto di maggioranza al Governo, ma anche un nuovo legame tra governanti e governati, leadership e popolo, allora dobbiamo essere disposti ad abbracciare la scommessa incompiuta dell’innovazione delle policies, nel metodo e nel merito.
Perché non basta dire che sta per piovere dal cielo la manna del Recovery Fund per risollevare il Paese dalla stagnazione e dalla recessione da crisi Covid. Né basta aprire nel Governo la vertenza, giusta, del Mes come “strumento keynesiano” (dice bene Provenzano) per rilanciare buone politiche e rimettere in piedi la sanità pubblica italiana. Il tema non sono mai solo le risorse, se non mettiamo a punto strumenti capaci di non sprecarle e di direzionarle verso la risposta efficace ai bisogni.
Viviamo mesi drammatici sotto il punto di vista socio-economico. La stagnazione da Covid si declina sulla pelle delle persone, ogni giorno. Interi settori sono stati inginocchiati dai mesi del lockdown e sono compromessi anche dalle modalità, obbligatorie e inevitabilmente severe, della ripresa. E la flessione dei cicli produttivi è solo temporaneamente tamponata dagli strumenti messi in campo dal Governo, come i prestiti semplificati, la proroga della cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti e le politiche dei “Coronabonus”. Serve, allora, non solo il recovery, ma anche e soprattutto il reshape. Una grande batteria di progetti che lavori sul censimento e sulla “priority list” dei bisogni emergenti da questa crisi, con l’obiettivo di contrastare le nuove disuguaglianze. Su tutte: generazionali, di genere ed educative. E una nuova cassetta degli attrezzi, che attinga agli strumenti dell’impact investing per direzionare i flussi di investimento verso obiettivi misurabili.
Un esempio concreto? L’inserimento socio lavorativo delle persone con vulnerabilità sociale, in tempi di contrazione occupazionale, rischia di essere una sfida ancora più complessa di sempre. E allora perché non usare una parte delle risorse del recovery, anche integrandole eventualmente con risorse provate di impact investors, per disegnare un social impact bond che tenga insieme privati-pubblico-terzo settore? Sottoponendo questo social impact bond alla valutazione di impatto sociale? E perché non affrontare in modo sistematico il tema, evidentissimo dopo i mesi di mancato accesso alla scuola, dell’education gap ancora presentissimo in Italia? Lavorando sempre in ottica impact a progetti di ammodernamento digitale delle scuole italiane, ma anche dei centri per i minori con fragilità, di cui noi spesso con Human Foundation (e in collaborazione con l’impresa sociale Con i Bambini) ci occupiamo? O ancora: perché non investire una parte delle risorse in arrivo nella valutazione d’impatto della Didattica a Distanza, come stiamo facendo ad esempio per la prima volta in Italia insieme all’Università degli studi di Pisa in queste settimane?
Le pratiche di cui parliamo non possono essere lasciate alle fondazioni e agli innovation lab, né restare nella nicchia della finanza generativa italiana e internazionale. Alle soglie della presidenza italiana del G20 e nel cuore di un autunno caldissimo, per l’entità dei problemi ma anche delle possibilità, il governo Conte può davvero chiudere un’epoca di promesse non mantenute e scalare le marce verso una stagione di innovazione radicale. La vera sfida è ingegnerizzare modelli innovativi di spesa pubblica. Spesa pubblica che sia capace di commissionare anche ai privati risultati sociali, ambientali, educativi e culturali. Grandi macro obiettivi outcome funds che possano diventare leva per una imprenditorialità sociale e diffusa. Gli strumenti dell’impact investment sono lì, a disposizione. Li stanno usando in tutti i Paesi europei. Perché da noi no? Perché non sistematizzare la triangolazione tra amministrazione pubblica (ovvero Governo), finanza privata e imprese sociali?
Non esiste davvero strumento migliore di una politica basata sulle evidenze e sui risultati, capace di risposte misurabili a bisogni concreti e tangibili, per mandare l’ideologia dell’antipolitica, spesso stonatamente qualunquista, in soffitta.