La finanza come leva del cambiamento
articolo di Giovanna Melandri pubblicato sul numero di ottobre 2019 di Vita
Lo ripetiamo da anni: c’è un movimento internazionale che preme per trasformare gli schemi di funzionamento delle scelte di investimento, riorientando capitali pubblici e privati verso investimenti a impatto sociale e ambientale. Questo movimento si è organizzato, ormai da tempo, in una rete — il Gsg, Global Steering Group for Impact Investment — e basa il suo lavoro su una convinzione: senza un massiccio riorientamento dei capitali finanziari alla produzione di valore sociale e ambientale sarà difficile raggiungere i Sustainable Development Goals, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite su cui, in Italia, è in atto il lavoro impagabile dell’Asvis di Enrico Giovannini, a cui anche la Fondazione Human sta collaborando attivamente. Questo lavoro parte da una premessa, che è il bisogno di sottoporre gli strumenti finanziari e i progetti di investimento alla logica dell’evidence based e del pay by result e, quindi, in una parola, alla valutazione d’impatto che, proprio come il rischio e il rendimento, diventa fattore decisivo. L’impatto di un investimento può essere misurato e comparato. Per questo, la valutazione diventa una variabile fondamentale di ogni scelta economica. Da un lato le risorse vengono connesse a obiettivi di sostenibilità e i grandi capitali disponibili vengono messi al servizio delle due sfide del nostro tempo: l’abbattimento delle diseguaglianze e il contrasto ai cambiamenti climatici.
Dall’altro, il raggiungimento degli obiettivi è sottoposto a un processo di verifica costante dei risultati, non solo a valle, ma anche a monte e in itinere. Questo per non sprecare risorse, in caso soprattutto di investimenti pubblici, e per abbattere il rischio di insuccesso, assicurando efficacia al progetto finanziato e buon esito all’investimento, che non è charity ma vera e propria sfida finanziaria e quindi, come tale, punta anche a un rendimento.
In tutto il mondo gli investimenti a impatto sociale prendono piede, implementati in progetti basati sullo schema pay by result e realizzati attraverso strumenti di vario tipo. Tra questi, uno in particolare chiama in causa direttamente la politica e i governi: l’outcome fund. Un vero e proprio “strumento triangolare” centrato sulla collaborazione tra investitori privati, mondo del Terzo settore e attore pubblico. Con il privato che stanzia i fondi, il Terzo settore che realizza con quei fondi progetti ad impatto e il pubblico che co-decide gli obiettivi sociali o ambientali da raggiungere e restituisce i fondi investiti solo a obiettivo raggiunto, dopo un processo di valutazione. Sono due gli Outcome Fund già progettati, su scala globale, dal GSG: uno in India e l’altro in Africa, entrambi centrati sul contrasto alle povertà educative. E l’Italia?
Rappresento il nostro Paese nella rete mondiale impact già dal 2013, quando una task force internazionale si mise al lavoro ufficialmente sull’obiettivo di coordinare una piattaforma di investimenti ad impatto su scala mondiale.
È stato allora che abbiamo fondato Social Impact Agenda per l’Italia, la prima rete nazionale che tiene insieme banche, Terzo settore e imprese sociali, enti assicurativi e di previdenza e vari altri player interessati allo sviluppo del mercato impact in Italia, tra cui da qualche mese anche Cassa Depositi e Prestiti. Anche grazie al lavoro di advocacy e mediazione di Social Impact Agenda, durante le ultime battute del Governo Gentiloni, con l’ultima legge di stabilità dell’allora premier, oggi commissario europeo, fu introdotto per la prima volta un Fondo Nazionale per l’Innovazione Sociale. Poi, però, più nulla. A sei anni dalla task force del 2013, la politica nazionale sembra non aver preso ancora sul serio la sfida impact e, finora, ha abdicato all’ambizione di incoraggiare lo sviluppo degli investimenti ad impatto sociale nel nostro Paese. È vero: il nuovo Codice degli appalti e dei contratti, varato nel 2016 a valle delle direttive europee del 2014, ha incentivato le pratiche collaborative pubblico-private, anche in ambito social e green. Ma è mancata la regia politica, la scommessa forte su un welfare mix capace davvero di aggiungere investimenti a quelli già esistenti e sperimentare su di essi non solo obiettivi alti, ma schemi di valutazione rigorosi, capaci di verificare metodi e risultati, ed evitare sprechi e fallimenti. Non mi ha stupito la quasi totale assenza del tema nei primi 14 mesi di governo giallo-verde. A parte il dibattito, assai interessante ed effettivamente innovativo per il nostro Paese, su una Banca Pubblica di Investimenti, è mancata finora la sensibilità e l’unità d’intenti sulle questioni social-green e anche una strategia di coinvolgimento degli investitori privati nell’attuazione di policies ad alto impatto di sostenibilità.
Il Conte bis, però, apre uno spiraglio, visto il sostegno al Governo delle forze progressiste del Paese (LeU, Pd e Italia Viva), la cui cultura politica — pur nelle diversità dei singoli soggetti — è centrata sul tema della giustizia sociale e ambientale. E vista la centralità nel programma dei Cinque Stelle della questione della lotta agli sprechi e dell’ottimizzazione delle risorse pubbliche. Può essere davvero questo il ciclo politico giusto per l’affermazione, nell’agenda di Governo, dei valori che il movimento impact promuove da anni e, in particolare, della logica degli outcome fund, basata sull’erogazione di risorse pubbliche a risultati raggiunti?
La fiducia è d’obbligo e il movimento impact italiano, che si prepara al summit mondiale del prossimo novembre in Cile, è pronto a incontrare il premier per elaborare insieme una piattaforma di iniziative su cui sperimentare insieme nuovi strumenti di intervento. Qualche mese fa avevamo già proposto al presidente Conte di lavorare a un Outcome Fund nazionale per l’inclusione sociale e il contrasto alle povertà. Rilanciamo la proposta, nella convinzione che nei 29 punti programmatici del Conte bis il segno della “green challenge” e della sostenibilità sia evidentissimo e questa è un’ottima premessa. Serve, però, disegnare strumenti di finanza pubblica e privata in grado di mettere a terra questi obiettivi tenendo al centro il valore sociale e ambientale che ogni investimento porta con sé, attivando circuiti virtuosi di investimenti privati che, affiancando quelli pubblici, possano rafforzare la possibilità di raggiungere risultati e produrre davvero “la svolta” promessa in questo avvio di mandato.
Dall’altro, il raggiungimento degli obiettivi è sottoposto a un processo di verifica costante dei risultati, non solo a valle, ma anche a monte e in itinere. Questo per non sprecare risorse, in caso soprattutto di investimenti pubblici, e per abbattere il rischio di insuccesso, assicurando efficacia al progetto finanziato e buon esito all’investimento, che non è charity ma vera e propria sfida finanziaria e quindi, come tale, punta anche a un rendimento.
In tutto il mondo gli investimenti a impatto sociale prendono piede, implementati in progetti basati sullo schema pay by result e realizzati attraverso strumenti di vario tipo. Tra questi, uno in particolare chiama in causa direttamente la politica e i governi: l’outcome fund. Un vero e proprio “strumento triangolare” centrato sulla collaborazione tra investitori privati, mondo del Terzo settore e attore pubblico. Con il privato che stanzia i fondi, il Terzo settore che realizza con quei fondi progetti ad impatto e il pubblico che co-decide gli obiettivi sociali o ambientali da raggiungere e restituisce i fondi investiti solo a obiettivo raggiunto, dopo un processo di valutazione. Sono due gli Outcome Fund già progettati, su scala globale, dal GSG: uno in India e l’altro in Africa, entrambi centrati sul contrasto alle povertà educative. E l’Italia?
Rappresento il nostro Paese nella rete mondiale impact già dal 2013, quando una task force internazionale si mise al lavoro ufficialmente sull’obiettivo di coordinare una piattaforma di investimenti ad impatto su scala mondiale.
È stato allora che abbiamo fondato Social Impact Agenda per l’Italia, la prima rete nazionale che tiene insieme banche, Terzo settore e imprese sociali, enti assicurativi e di previdenza e vari altri player interessati allo sviluppo del mercato impact in Italia, tra cui da qualche mese anche Cassa Depositi e Prestiti. Anche grazie al lavoro di advocacy e mediazione di Social Impact Agenda, durante le ultime battute del Governo Gentiloni, con l’ultima legge di stabilità dell’allora premier, oggi commissario europeo, fu introdotto per la prima volta un Fondo Nazionale per l’Innovazione Sociale. Poi, però, più nulla. A sei anni dalla task force del 2013, la politica nazionale sembra non aver preso ancora sul serio la sfida impact e, finora, ha abdicato all’ambizione di incoraggiare lo sviluppo degli investimenti ad impatto sociale nel nostro Paese. È vero: il nuovo Codice degli appalti e dei contratti, varato nel 2016 a valle delle direttive europee del 2014, ha incentivato le pratiche collaborative pubblico-private, anche in ambito social e green. Ma è mancata la regia politica, la scommessa forte su un welfare mix capace davvero di aggiungere investimenti a quelli già esistenti e sperimentare su di essi non solo obiettivi alti, ma schemi di valutazione rigorosi, capaci di verificare metodi e risultati, ed evitare sprechi e fallimenti. Non mi ha stupito la quasi totale assenza del tema nei primi 14 mesi di governo giallo-verde. A parte il dibattito, assai interessante ed effettivamente innovativo per il nostro Paese, su una Banca Pubblica di Investimenti, è mancata finora la sensibilità e l’unità d’intenti sulle questioni social-green e anche una strategia di coinvolgimento degli investitori privati nell’attuazione di policies ad alto impatto di sostenibilità.
Il Conte bis, però, apre uno spiraglio, visto il sostegno al Governo delle forze progressiste del Paese (LeU, Pd e Italia Viva), la cui cultura politica — pur nelle diversità dei singoli soggetti — è centrata sul tema della giustizia sociale e ambientale. E vista la centralità nel programma dei Cinque Stelle della questione della lotta agli sprechi e dell’ottimizzazione delle risorse pubbliche. Può essere davvero questo il ciclo politico giusto per l’affermazione, nell’agenda di Governo, dei valori che il movimento impact promuove da anni e, in particolare, della logica degli outcome fund, basata sull’erogazione di risorse pubbliche a risultati raggiunti?
La fiducia è d’obbligo e il movimento impact italiano, che si prepara al summit mondiale del prossimo novembre in Cile, è pronto a incontrare il premier per elaborare insieme una piattaforma di iniziative su cui sperimentare insieme nuovi strumenti di intervento. Qualche mese fa avevamo già proposto al presidente Conte di lavorare a un Outcome Fund nazionale per l’inclusione sociale e il contrasto alle povertà. Rilanciamo la proposta, nella convinzione che nei 29 punti programmatici del Conte bis il segno della “green challenge” e della sostenibilità sia evidentissimo e questa è un’ottima premessa. Serve, però, disegnare strumenti di finanza pubblica e privata in grado di mettere a terra questi obiettivi tenendo al centro il valore sociale e ambientale che ogni investimento porta con sé, attivando circuiti virtuosi di investimenti privati che, affiancando quelli pubblici, possano rafforzare la possibilità di raggiungere risultati e produrre davvero “la svolta” promessa in questo avvio di mandato.